venerdì 11 marzo 2016

La metà del mio dovere

Sono cresciuta pensando di aver sempre fatto soltanto la metà del mio dovere perchè questo era quello che mi veniva detto da mio padre dopo ogni compito in classe, interrogazione, esame.
Ho passato anni a guardare la maggior parte dei miei compagni essere premiati per la loro mediocrità mentre io avevo fatto soltanto la metà del mio dovere. Poi uno si chiede perchè è insicuro e ha sempre pensato di non meritare niente.

La metà del mio dovere consiste in quanto segue.

A 16 anni prendo la valigia e parto per gli Stati Uniti dove frequento il quarto anno di liceo. Imparo molto inglese, moltissimo sulla cultura amercana e vinco un Award of Excellence, nonostante per almeno 3 mesi non capissi nulla di quello che mi veniva detto.

A 17 anni torno in Italia e frequento l'ultimo anno di liceo linguistico. Nel frattempo compio 18 anni e dopo la maturità riprendo la valigia e parto per Milano, dove mi iscrivo ad interpretariato. Ho sempre avuto un grande interesse per le lingue straniere (alle medie avevo uno di quei corsi in audiocassetta che seguivo ogni mercoledì sera con mio padre) ed in poco tempo divento una macchina da traduzione. Passo il secondo anno di università mangiando solo due zucchine lesse al giorno, poi parto per Parigi e una sera sulla Senna mangio un gelato. Il terzo anno scorre via veloce e a settembre mi trasferisco a Torino per la specialistica binazionele. A novembre torno a Milano per laurearmi e dopo la discussione riprendo il treno e torno a Torino: il giorno dopo avevo lezione per cui dovevo tornare a fare almeno la metà del mio dovere. A settembre dell'anno successivo riprendo la solita valigia e parto per Lione dove frequento l'ultimo anno di università, compreso uno stage di sei mesi.

Dopo l'estate, ad inizio settembre 2007 mi laureo. 25 anni ancora da compiere, 5 anni spaccati di università, la metà del mio dovere.

Faccio visita ad un'amica in Olanda e, qualche giorno dopo il mio rientro a casa, mi chiama un'amica:  "alcuni miei amici hanno bisogno di un'interprete, ti va?". Certo che mi va.
Tra un'interpetazione e l'altra mando CV e faccio qualche colloquio. Il più divertente con un celebre gruppo di head hunting: sto lì tutto il giorno, passo selezione dopo selezione fino all'offerta arrivata a fine giornata: sei mesi di stage, 300 euro al mese. E va bene, facciamo finta che ci penso. Mentre faccio finta di pensarci torno a casa, continuo a fare l'interprete e vengo contattata dalla facoltà di Torino: sono stata selezionata per il progetto Mae Crui - destinazione New Delhi, partenza gennaio 2008.

Rifaccio la solita valigia e vivo l'esperiene più belle della mia vita. Non mi sono mai sentita così libera come in quei mesi a Delhi. Nuovi amici, tanto caldo, cibo piccante e 4 kg in più. Unico neo: lo stage non è retribuito, in pieno stile italiano, ma amen. E' l'unico modo per andare in India e non far morire mia madre - che tanto va in ansia anche quando non rispondo dopo il terzo squillo.

Dopo 4 mesi torno a casa e ricomincio a fare l'interprete. Sto bene, il lavoro mi piace molto e mi lascia anche molto tempo libero per fare tante altre cose, ma qualcosa mi sta stretto e così, dopo due anni, faccio l'ennesima valigia e torno a Milano dove inizio a lavorare per una Big4.

Inizio a voler bene a Milano e faccio sempre in modo di avere del tempo libero. L'approccio stakanovista al lavoro non mi è mai piaciuto, preferisco vivere. Mi iscrivo ad un corso di spagnolo, inizio a ballare Lindy hop, prendo lezioni di canto e il mercoledì in pausa pranzo vado a Pilates. Leggo molto, lavoro all'uncinetto e giro sempre in bicicletta. Sto bene, ma qualcosa mi va stretto e sono sempre circondata da persone premiate per la loro mediocrità per cui grazie ad un'ottima occasione faccio l'ennesima valigia.

L'8 agosto 2015 prendo un aereo per Londra e dopo due giorni inizia il mio secondment di sei mesi che sono presto diventati 12, poi chissà.

Sono cresciuta pensando di aver sempre fatto soltanto la metà del mio dovere perchè questo era quello che mi veniva detto da mio padre dopo ogni compito in classe, interrogazione, esame. Altri padri, invece, vanno in tv a dire che il loro figlio omicida e gonfio di cocaina sia un ragazzo modello.

Alle volte, la vita.


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