Diluvia.
Il motorino decide che no, non vuole proprio partire. Nonono.
Ti si strappa un'unghia fino a lì dove vedi la carne.
Vai a ballare e il corso precedente, come al solito, sfora di un bel po'. Entri per cambiarti le scarpe e un tizio ti dice di aspettare fuori visto che stanno ancora ballando. Lo incenerisci con lo sguardo dicendo che sono le 9.20 e sarebbe ora di interrompere la lezione, lui blatera qualcosa venendoti appresso e poi ti ci ritrovi a ballare insieme.
E' lui il ballerino n.4.
p.s.: Sì, era da uccidere, ma poi ha detto "con te si balla bene, SEI LEGGERA", e allora che fai, non lo perdoni?
giovedì 24 ottobre 2013
martedì 22 ottobre 2013
Per distrarmi, conto
Mi fa quasi tenerezza l'attenzione che ha nell'assicurarsi di salutarmi. Appena mi vede arrivare resta lì, impalato, e mi fissa finché non gli pianto gli occhi negli occhi. A quel punto sorride e mi dice un bel ciao, di quelli decisi, diretti e a voce alta che ti impediscono di far finta di niente.Quindi dico il mio ciao anch'io (perché non sta bene non rispondere all'uomo con le brutte cravatte a righe) poi abbasso gli occhi e restiamo lì, fianco a fianco, muti, finché uno dei due non riprende la sua strada.
Quando siamo vicini, corpo e cervello (miei) vanno in stand by, respiro piano piano per non risvegliarli e, per distrarmi, conto. Conto le cose, quelle che capitano: alberi, mattonelle, persone vestite di blu, persone che camminano col casco in testa, respiri, pulsanti dell'ascensore. Tutto quello che si può contare, io lo conto.
Conto per non pensare che la premura di quel ciao è il capolinea, arrivato dopo tante discussioni, tanta rabbia, tanta dolcezza, tanto tempo perso e dopo la sua scelta ricaduta -chettelodicoaffà- su un'altra. E non m'importa se per lui una vale l'altra, se sta bene come potrebbe stare bene con chiunque, se non è cintura nera di fedeltà, se è triste perché avrebbe voluto conoscermi prima o se indossa cravatte di merda.
Conta che non mi abbia voluta.
E allora quel ciao così pieno di attenzione cancella ore e ore di riflessioni, di prese di consapevolezza, di confronti, di vaffanculo scritti, urlati e sussurrati.
Cancella tutto e io, con la premura di quel ciao, ricomincio a contare.
Quando siamo vicini, corpo e cervello (miei) vanno in stand by, respiro piano piano per non risvegliarli e, per distrarmi, conto. Conto le cose, quelle che capitano: alberi, mattonelle, persone vestite di blu, persone che camminano col casco in testa, respiri, pulsanti dell'ascensore. Tutto quello che si può contare, io lo conto.
Conto per non pensare che la premura di quel ciao è il capolinea, arrivato dopo tante discussioni, tanta rabbia, tanta dolcezza, tanto tempo perso e dopo la sua scelta ricaduta -chettelodicoaffà- su un'altra. E non m'importa se per lui una vale l'altra, se sta bene come potrebbe stare bene con chiunque, se non è cintura nera di fedeltà, se è triste perché avrebbe voluto conoscermi prima o se indossa cravatte di merda.
Conta che non mi abbia voluta.
E allora quel ciao così pieno di attenzione cancella ore e ore di riflessioni, di prese di consapevolezza, di confronti, di vaffanculo scritti, urlati e sussurrati.
Cancella tutto e io, con la premura di quel ciao, ricomincio a contare.
lunedì 21 ottobre 2013
Ordine fuori, ordine dentro.
Non sono mai stata una persona particolarmente ordinata: vivo bene nel mio disordine, trovo comodo avere tutte le cose che mi servono a portata di mano e non mi disturba avere 3 o 4 paia di scarpe in giro per casa. Sta tutto lì, se mi serve lo uso altrimenti lo ignoro. Arriva sempre un momento, però, in cui quel disordine diventa insopportabile, troppo simile ai pensieri disordinati che ho nella testa. Inizia, allora, l'operazione ordine fuori-ordine dentro.
Quando arriva l'operazione ordine fuori - ordine dentro significa che ho bisogno di ordine, simmetria, scarpe appaiate, tavolini allineati, cappotti nell'armadio, posate nel primo cassetto, piatti nel quarto ripiano della vetrinetta - quella a sinistra - e via dicendo.
Riordinare - e pulire- fuori, mi regala l'illusione di pulire e riordinare anche dentro. Strofinare, sciacquare, insaponare, piegare, mettere via oggetti, vestiti e cianfrusaglie varie è come farlo con i pensieri. Una forchetta nel cassetto = un pensiero nel cassetto. Un paio di scarpe nella scarpiera = un pensiero nella scarpiera. E così via.
Alla fine del rituale ordine fuori-ordine dentro i pensieri disordinati se ne stanno profumati al loro posto e ci restano per qualche tempo, fino a che, probabilmente annoiati, non torneranno da me. E allora io li accoglierò, li nutrirò e li terrò con me. Fino al prossimo rituale.
Quando arriva l'operazione ordine fuori - ordine dentro significa che ho bisogno di ordine, simmetria, scarpe appaiate, tavolini allineati, cappotti nell'armadio, posate nel primo cassetto, piatti nel quarto ripiano della vetrinetta - quella a sinistra - e via dicendo.
Riordinare - e pulire- fuori, mi regala l'illusione di pulire e riordinare anche dentro. Strofinare, sciacquare, insaponare, piegare, mettere via oggetti, vestiti e cianfrusaglie varie è come farlo con i pensieri. Una forchetta nel cassetto = un pensiero nel cassetto. Un paio di scarpe nella scarpiera = un pensiero nella scarpiera. E così via.
Alla fine del rituale ordine fuori-ordine dentro i pensieri disordinati se ne stanno profumati al loro posto e ci restano per qualche tempo, fino a che, probabilmente annoiati, non torneranno da me. E allora io li accoglierò, li nutrirò e li terrò con me. Fino al prossimo rituale.
sabato 12 ottobre 2013
Quella curva che significa casa
Casa mia dista quasi 600 km da Milano dove sono tornata a vivere, con poca convinzione, nel gennaio di 3 anni fa (tra le 20 cose che avevo giurato di non fare mai)
Tornare a casa, quindi, significa annaspare tra i pessimi treni di trenitalia, sperare in tariffe agevolate di Alitalia, farsi stordire dagli assistenti di volo Ryanair o pregare S. Ambrogio di non farti restare bloccato in tangenziale. Significa anche sorridere a chi ti guarda con gli occhi fuori dalle orbite e ti dice: "Certo che è uno sbatti fare tutta quella strada solo per un weekend".
Ebbene, no, non è uno sbatti, perché non c'è niente di più bello che fare quella curva, sul mare, e vedere apparire il porto di Ancona.
martedì 8 ottobre 2013
Non lo farò mai.
Mentre vagavo per il supermercato con il casco in testa mi
sono vista riflessa nella vetrina, mi sono guardata e mi sono detta: “Sei
veramente una scema”. Sì, perché fino a che non ho avuto un motorino, cioè fino
a sabato, ho sempre pensato che andare in giro col casco fosse una di quelle
cose che non avrei mai fatto. Allora ho iniziato a pensare a tutte le cose che avevo
detto che non avrei mai fatto. Ecco qui, come se vi interessasse:
1.
tornare a vivere a milano
2.
fumare
3.
fare la ceretta dall’estetista
4.
fare la ceretta all’inguine, dall’estetista
5.
fare le mani dall’estetista
6.
fare i piedi dall’estetista
7.
lavorare in finanza
8.
spogliare uno di 40 anni
9.
spogliare uno con dei figli
10. spogliare
un collega
11. pagare
per farmi mettere in ordine i pensieri
12. aprire
un blog
13. smettere
di fotografare
14. smettere
di parlare con qualcuno
15. piangere
per le brutte parole di qualcuno
16. pensare
di essere stupida
17. comprare
un capo d’abbigliamento leopardato
18. comprare
biancheria intima di pizzo
19. mangiare
seduta sul divano
20. fare
i punti da 1 a 19 tutti insieme.
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