martedì 22 ottobre 2013

Per distrarmi, conto

Mi fa quasi tenerezza l'attenzione che ha nell'assicurarsi di salutarmi. Appena mi vede arrivare resta lì, impalato, e mi fissa finché non gli pianto gli occhi negli occhi. A quel punto sorride e mi dice un bel ciao, di quelli decisi, diretti  e a voce alta che ti impediscono di far finta di niente.Quindi dico il mio ciao anch'io (perché non sta bene non rispondere all'uomo con le brutte cravatte a righe) poi abbasso gli occhi e restiamo lì, fianco a fianco, muti, finché uno dei due non riprende la sua strada.

Quando siamo vicini, corpo e cervello (miei) vanno in stand by, respiro piano piano per non risvegliarli e, per distrarmi, conto. Conto le cose, quelle che capitano: alberi, mattonelle, persone vestite di blu, persone che camminano col casco in testa, respiri, pulsanti dell'ascensore. Tutto quello che si può contare, io lo conto.

Conto per non pensare che la premura di quel ciao è il capolinea, arrivato dopo tante discussioni, tanta rabbia, tanta dolcezza, tanto tempo perso e dopo la sua scelta ricaduta -chettelodicoaffà- su un'altra. E non m'importa se per lui una vale l'altra, se sta bene come potrebbe stare bene con chiunque, se non è cintura nera di fedeltà, se è triste perché avrebbe voluto conoscermi prima o se indossa cravatte di merda.
Conta che non mi abbia voluta.

E allora quel ciao così pieno di attenzione cancella ore e ore di riflessioni, di prese di consapevolezza, di confronti, di vaffanculo scritti, urlati e sussurrati.

Cancella tutto e io, con la premura di quel ciao, ricomincio a contare.

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